L'itinerario archeologico comprende la visita all'area archeologica dell'antica Città di Akrai dove è possibile ammirare: Il Teatro Greco. E’ il monumento più “insigne “ dell’area archeologica di Akrai, definito “ teatro del Cielo “ a significare il particolare effetto di sospensione che regala al visitatore oltre che una straordinaria vista sulla Valle dell’Anapo e all’orizzonte imponente sull’Etna. Incerta è l’epoca di realizzazione del teatro, comunque, appare plausibile una datazione risalente all’età di Ierone II, intorno, quindi, alla seconda metà del III a.C.. Il koilon, messo in luce dallo Judica intorno al 1824, poggiato ad un pendio naturale e posizionato verso settentrione, risulta composto da otto scalette, nove cunei e dodici file di sedili, per complessivi 6-700 posti circa. Singolare e mai compiutamente spiegata è l’esistenza e la funzione , sulla parte occidentale, di uno stretto cunicolo che pone in collegamento il teatro con il bouleuterion. Altra singolarità, che rende unico il teatro di Akrai, è riscontrabile nell’orchestra che, non è perfettamente circolare ma semicircolare. In epoca romana, come gran parte dei teatri antichi, subì numerosi rimaneggiamenti. In modo particolare al logeion ellenistico fu sovrapposto, molto più avanzato, un pulpitum. L’orchestra fu pavimentata e all’ingresso orientale di essa fu eretto un vano rettangolare, presumibilmente un chioschetto. Sulla scena, infine, sono ben visibili, i resti di un mulino di età bizantina e in direzione nord-ovest i pochi resti di un monastero dei Padri Minori Osservanti e di una neviera (strutture di conservazione del ghiaccio usate sino all’inizio del ‘900) a testimonianza dell’affascinante “ continuum “ di quest’area nei millenni. Il Bouleuterion: fu rinvenuto grazie all’appassionata opera dello Judica intorno al 1820 e sistematicamente studiato da Bernabò Brea intono al 1944 Il bouleuterion era composto da un koilon, munito di una piccola orchestra perfettamente semicircolare, con esposizione ad occidente, certamente ricompresso in un vano quadrangolare coperto, con sei ordini di sedili, divisi in tre cunei grazie a due scalette per una capienza non superiore ai cento posti. L’edificio doveva essere alla confluenza di strutture pubbliche ad esso funzionalmente collegate, come testimoniano i resti esistenti, in ogni caso è sicuro che nei suoi pressi sorgesse l’agorà. Altra singolare costruzione, d’incerta qualificazione anche per gli studiosi, si trova oltre il muro di cinta che delimita attualmente il bouleuterion. Si tratta di un edificio di pianta circolare ritenuto dai più un impianto termale di epoca romana, riadattato a battistero in epoca bizantina. A pochi metri dal bouleuterion esiste un pozzo che rientra in un ingegnoso ed efficace sistema di approvvigionamento idrico a servizio dell’antica città greca. La latomia dell'Intagliata: di forma ellittica e dalle alti pareti, è la più estesa delle latomie, vi si accedeva attraverso una porta, tutt’ora ben visibile, posta sotto il teatro. All’interno di quest’area sono presenti numerosi ipogei e sepolture ad arcosolio di età cristiana. Particolarmente interessante e l’ipogeo detto della Grotta dei Cavalli: un’abitazione troglodita di epoca bizantina, composta da quattro grandi vani di forma rettangolare, a tetto piano, scavate nella roccia, con accesso da uno stretto cunicolo. Nella parte meridionale della latomia, si trova un piccolo ipogeo contenente oltre a loculi ed arcosoli sulle pareti anche due tombe centrali a baldacchino, accuratamente lavorate e chiuse su tre lati da transenne traforate ricavate dalla viva roccia. La latomia dell'Intagliatella: a forma di L è la più antica delle cave di pietra di Akrai. Questa latomia è caratterizzata dal succedersi non sempre facilmente leggibile, a varie altezze, di nicchie votive contenenti “ pinakes “ (tabelle o dipinti votivi), di tombe di varie epoche, ma anche di abitazioni di periodo bizantino. Il ramo settentrionale della latomia è stata interpretato dall’ Orsi come “Via Sacra”. L’attenzione del visitatore è catturata da un bassorilievo noto come “banchetto degli eroi”, in cui sono raffigurate due scene: per chi guarda nella parte sinistra una scena di sacrificio di epoca romana, nella parte destra un banchetto degli eroi di carattere greco, con al centro, con funzione unificante dei due motivi, la figura di un guerriero in atto di libagione. La straordinaria singolarità del rilievo risiede nel suo contenuto, e, precisamente, nella commistione di consolidati modelli greci e romani, datato intorno alla prima metà del I sec. a.C. Altre latomie, secondo la descrizione di Judica e di Bernabò Brea, si trovano nei pressi sia del bouleuterion che poco oltre il muro che delimita tale monumento. Sempre nell'area è possibile ammirare un tratto del Decumano (strada romana) con il suo selciato perfettamente conservato. Da li percorrendo poche centinaia di metri è possibile visitare i cosiddetti Santoni.Imboccando la vecchia provinciale per Noto sulla sinistra troviamo via dei Santoni, percorrendola si giunge all’ingresso del “ più completo e più vasto complesso di figurazioni relative al culto della Magna Mater che il mondo antico ci abbia lasciato “ (Bernabò Brea, Akrai) “……un monumento singolarissimo, di grande interesse per la storia delle religioni del mondo antico. Si tratta infatti del maggiore santuario finora noto, dedicato al culto di Cibele, la gran madre degli dei, la dea asiatica della natura, venerata sulle eccelse cime montuose dell’Anatolia, sul Sibilo, sul Dindymon, sull’Ida……nel V secolo a.C. ……le furono dedicati in Grecia alcuni famosi santuari, uno dei quali al Pireo, un altro sull’Acrocorinto…. “ (Bernabò Brea, L’Antica Akrai in Riv. Sicilia n° 21 del 1959) Il culto della Magna Mater, di origine asiatica, si afferma in occidente sotto un duplice aspetto: la Cibele dei greci, il cui culto è accolto ad Atene dal V sec. a.C. in poi; la dea di Pessinunte, il cui culto è introdotto a Roma direttamente dalla Frigia, nel suo aspetto orgiastico. Di certo le origini del culto di Cibele si perdono nel tempo: Esiodo racconta che Grande Madre veniva appellata Rea, figlia di Gea e Urano, moglie di Crono e madre dei tre sovrani del mondo, Zeus, Posidone ed Ades. Rea godeva di vasta venerazione in Asia minore, e particolarmente in Frigia ove era chiamata Cibele, con tale nome passò prima a Creta indi in Grecia. Sulle rive dell’Eufrate fu invece chiamata Koubaba e presso i Babilonesi Damkina. Il centro principale del suo culto era a Pessinunte. Taluni studiosi ipotizzano che dietro il culto della Magna Mater si celasse quello terribile di Shub-Niggurath, divinità negativa, tutt’ora venerata in varie parti del mondo in forma esoterica. A giudizio del Bernabò Brea il culto della Magna Mater potrebbe essere stato importato a Siracusa dalla madrepatria Corinto ove la dea aveva un santuario sull’Acrocorinto, in cui si fece sacerdote della dea Dioniso II quando fu cacciato da Siracusa. Affermazione, sebbene posta in forma dubitativa, che appare piuttosto debole, atteso che le figurazioni acrensi poco o nulla hanno in comune con quanto conosciamo dell’iconografia della Magna Mater greca e romana e comunque un complesso cultuale simile non è dato riscontrare a Siracusa o altrove. Un mistero resta la natura e l’intensità del culto praticato, ossia se la dea venisse venerata in forma orgiastica, con riti sovente feroci, come era all’origine del culto o come venne recepito a Roma in forma più moderata come pare ebbe riscontro in Grecia almeno sino ad epoca ellenistica. E’ certo che in epoca cristiana l’area fu utilizzata a servizio della nuova religione. Su tale conversione lo Judica osservava : “ Ritrovai anche sotto i medesimi diverse medaglie di bronzo, che si convengono agl’imperatori romani, lacchè mi fece pur anche congetturare, che nel primo, e secondo secolo dell’era cristiana si facevano delle pie oblazioni a detti simulacri “ (G. Judica, Le Antichità di Acre). Il sito ospita dodici grandi rilievi, rovinati e scheggiati, dieci dei quali riproducono sostanzialmente la medesima figura femminile seduta di pieno prospetto, i comuni elementi descrittivi la identificano con la dea Cibele, due invece contengono scene più complesse, con una pluralità di personaggi di difficile identificazione a causa del deterioramento naturale della roccia, poi perché i rilievi sono stati oggetto di colpi di piccone da parte di un contadino, infastidito dal passaggio dei visitatori delle sue terre; ancora oggi i rilievi portano il segno di quel gesto. La datazione del complesso risale tra la fine del IV e il III sec. a.C.. Tra le varie figure si alternano piccoli incavi nei quali un tempo dovevano essere riposte altre figure, non scolpite, ma dipinte, così come, dai fori esistenti sulla viva roccia, è dato presumere che alcune figure fossero ricoperte di monili. PRIMO RILIEVO (DA SINISTRA VERSO DESTRA) Questa figura, la meglio conservata del complesso, rappresenta la dea modiata seduta di pieno prospetto, vestita di chitone e himation che le copre la spalla sinistra e si riavvolge poi intorno alla parte inferiore del corpo in un fascio di pieghe intorno alla vita; sul collo scendono due lunghe trecce. Sul grembo della dea, non più visibile, doveva essere raffigurato un leone accovacciato. E’ probabile, sulla scorta delle altre figure, che sul braccio destro la dea recasse una patera e sul sinistro il timpano, l’uno e l’altro accessorio non sono più visibili. Ai lati del capo della dea si notano due piccole figure di Coribanti, Galli o Cureti (quella di sinistra molto meglio conservata) vestiti con copricapo frigio, tunica e mantello che reggono un asta verticale e forse, nell’altra mano, un timpano, i quali erano gli orgiastici compagni di Attis. Si presume che in basso vi fossero quattro distinte figure, purtroppo non più leggibili. SECONDO RILIEVO E’ il più grande di tutto il complesso, il più dinamico e suggestivo dell’intera area. La dea, sempre munita di modio, peplo e himation è raffigurata alzata, in un atteggiamento che sembrerebbe di danza, e, che comunque, conferisce estrema eleganza alla figura e all’intero rilievo. Il corpo è appoggiato e fa leva sul piede destro mentre il sinistro è posato sul dorso di uno dei due leoni raffigurati in basso. Con la mano sinistra sembrerebbe prendere la mano di una figura identificata con Hermes mentre con l’altra mano regge la testa di un’altra figura, a sua volta, identificata con il sileno Marsia. Ulteriormente sulla sinistra, accanto al sileno, si nota la presenza di una figura femminile d’incerta identificazione. Ai lati estremi di questo rilievo e a chiusura di esso si notano due figure di cavalieri in sella ai che rappresentano i Dioscuri. Nella parte superiore della roccia, in prossimità del capo della dea sono presenti numerosi fori nella parete ove dovevano essere fissati monili vari ad abbellimento dei rilievi oltre che piccole edicole votive con all’interno presumibilmente pitture. TERZO RILIEVO Raffigura la dea seduta di pieno prospetto e munita degli usuali attributi (modio, peplo, himation, timpano), con il braccio destro che sembrerebbe in posizione di appoggio su di un oggetto che non si scorge più, mentre il braccio sinistro è posto in posizione verticale con l’avambraccio appoggiato ad un oggetto circolare (probabilmente un timpano). Non si scorgono, o non si scorgono più, le solite figurine di Coribanti intorno al capo. QUARTO RILIEVO In questo rilievo, meglio realizzato degli altri, è dato riconoscere la dea modiata, posta leggermente sulla destra, con patera nella mano destra e timpano nell’altra, ai piedi le tenue tracce di due leoni. In prossimità del capo si trovano le due consuete figure di Coribanti in berretto frigio e corta tunica, e, sempre sulla destra, accanto alle figure si scorgono le tenui tracce di una figura femminile d’incerta identificazione ai cui piedi si nota la presenza di due fanciulli nudi. QUINTO RILIEVO E’ tra i più danneggiati, si intravede la dea sempre ripresa di pieno prospetto con i consueti attributi. Ben conservati invece risultano i due Coribanti posti ai lati del capo. SESTO RILIEVO Questo rilievo, come quelli posti fra il secondo e il quarto, è caratterizzato nella parte alta da due edicolette laterali e una centrale; nella parte bassa si nota l’esistenza di una nicchia arcuata, con la consueta figura femminile quasi totalmente illeggibile. SETTIMO RILIEVO Vi si ammira, nella parte bassa, il bel drappeggio della veste della dea; di cogliere la plasticità della posizione dovuta all’avanzamento del piede destro rispetto all’altro ; il timpano ben conservato e i due leoni ai lati. In questo rilievo non è data notare la presenza dei due Coribanti. OTTAVO RILIEVO Ottimamente conservato nel suo complesso, sorge all’interno di un profondo incavo ed è ricco di figure. Oltre la consueta dea modiata e i due Coribanti , in alto a sinistra, si nota una rozza figura seduta, identificata dal flauto con il sileno Marsia.; lateralmente alla dea una figurina di fanciullo nudo. Ai piedi della dea i due leoni e alla sinistra di uno dei due animali si scorgono due o tre figure con copricapo frigio che vengono identificate come sacerdoti della dea. NONO RILIEVO Discretamente conservato e animato da numerose figure. Oltre la consueta raffigurazione di pieno prospetto della dea, con il piede sinistro più avanzato rispetto al destro, ai lati i due Coribanti. In basso a sinistra è raffigurata una figura femminile che sembra offrire da mangiare ad un cane con il capo volto verso l’alto nell’atto di cogliere ciò che la prima figura porge. Sulla destra la figura di un uomo in tunica che sembrerebbe accarezzare il leone. DECIMO RILIEVO Fortemente danneggiato, ascia intravedere la figura della dea modiata raffigurata di pieno prospetto, mentre nulla più è rimasto della parte inferiore. UNDICESIMO RILIEVO La dea, seduta di pieno prospetto, appare a stento sbozzata , priva delle consuete figure che l’accompagnano. Nell’atteggiamento differiva dalle altre: con il braccio sinistro teneva un oggetto, certamente un timpano. DODICESIMO RILIEVO Si distingue per l’assenza della dea: sulla destra un fanciullo spegne su un ripiano una face capovolta, con il braccio destro tiene un’altra ancora accesa. Presente un leone e al centro una figura che, sebbene sembri portare un modio a guisa della dea Cibele, tuttavia per le grossolane fattezze non si identifica con una figura femminile. La figura posta oltre viene identificata con il sileno Marsia; e accanto a quest’ultimo si noto uno sgraziato leone. Da li si raggiungono i cosiddetti "Templi Ferali". Costituiscono la terza significativa latomia dell’area archeologica di Akrai, si trovano in prossimità dei Santoni, appena fuori città, lungo la parte iniziale della vecchia strada provinciale che conduce per Noto. Le pareti della cava sono tessute da numerosi piccoli incavi o nicchiette che contenevano tabelle votive (“ pinakes “) ed ai piedi di detti incavi venivano allocate offerte votive per i defunti, assunti nella venerazione dei viventi, al grado di eroi. Le offerte per lo più consistevano nella posa di vasetti, in piccole fosse scavate sulla viva roccia o sulla nuda terra, contenenti oltre che resti carbonizzati anche monili e più frequentemente monete. L’area presenta numerosissime iscrizioni invocanti i defunti come eroi buoni o buoni demoni. L’uso della cava come area sacra ebbe inizio a partire dal III sec. e si protrasse quasi certamente sino al II a.C. Da li a poche decine di metri si raggiunge la Necropoli della Pinita. Sorge in direzione sud-est rispetto all’antica città di Akrai. Si compone di cinquantaquattro necropoli a grotticelle artificiali che si aprono sulla verticale rocciosa ivi esistente, ben visibili dalla sottostante strada. La necropoli fu scavata artificialmente dall’uomo, ciascuna tomba ha forma ovale (cd. tombe a forno), con soffitto piano ed apertura verso l’esterno e risultano tutte di identiche dimensioni, salvo una che oltre ad avere maggiori dimensioni presenta un soffitto ad alta cupola invece che piano, una grande nicchia e particolari riquadrature della porta che rilevano una più accurata lavorazione. Purtroppo, a causa dei continui saccheggi, nelle tombe non è stato trovato alcun reperto, in ogni caso la tipologia delle tombe fa attribuire il complesso ad epoca non antecedente al XII sec. a.C. e il villaggio a cui la necropoli si riferisce doveva sorgere sullo stesso colle dove successivamente venne edificata Akrai, come attesterebbe il ritrovamento di alcune accette di basalto. Nell’ambito del territorio acrense è possibile individuare numerose altre piccole necropoli sorte tra il XII e l’VIII sec. a.C., quali quella di C.da Torre Judica, zona posta più in alto della Pinita, e quella lungo il corso dell’Anapo. Quasi di rimpetto alla necropoli della Pinita si stagliano due cocuzzoli ricavati artificialmente nella roccia, chiamati sin dall’antichità “Mammelle di Lamia”, di cui troviamo cenno nell’iscrizione Kaibel 217. Ci troveremmo in presenza di un’area di straordinario interesse sul piano storico-religioso, atteso che in nessuna altra parte del mondo antico è attestata la presenza di un’area cultuale tributata al terribile mito di Lamia: amata da Zeus, ebbe da lui molti figli, ma Era, gelosa, li fece morire, cosi Lamia, impazzita per il dolore, si mise a rapire bambini altrui per divorarli. Lamiae furono chiamati gli spettri notturni che, secondo gli antichi Greci, succhiavano il sangue dei bambini e ne mangiavano il cuore. Di certo antiche leggende locali ancora oggi identificano il luogo detto Monte Alleri o Allegro come un posto magico e sinistro. Testimonianza di una necropoli di età preistorica è costituita da una grotta funeraria, Grotta Tinè rinvenuta in prossimità della parte terminale del giardino pubblico. L'itinerario si conclude con la visita al sito archeologico di "Santa Lucia di Mendola" distante circa Km.3 da Palazzolo Acreide ove è possibile ammirare i resti di una antica basilica di origine paleocristiana dedicata alla martire cristiana "Lucia".